LUOGHI DI POTERE
di GERARDO MARTINO
– viaggio iconografico attraverso il potere personale che certi luoghi ci conferiscono –
Prima parte dieci quadri
MURI A SECCO
“Insistentemente dialogherò con la luce della luna e col bagliore dei muri a secco. E quando il suono cristallino di ciascuna di queste pietre avrà fatto vibrare ogni angolo delle mie stanze, questo corpo avrà imparato l’arte dell’abbandono. Per infrangere finalmente la rassicurante voliera che senza sosta ha edificato negli anni. E vigorosi saranno i miei pensieri, straordinarie le mie azioni, dopo che la terra mi avrà infuso nuova forza. E scoprirò che ero già stato qui, avevo già cercato il sacro, la notte, le melodie, i silenzi, il muschio, i fruscii, la leggerezza. Avevo già urlato, combattuto, amato. Attore e testimone di epoche remote e che verranno.”
DI LAVA E DI VENTO
“Di lava e di vento saranno i miei gesti dopo che questo suolo vulcanico mi avrà sussurrato le sue nenie vitali. Articolandomi nel corpo intonerò quei mantra, ripercorrendo gli snodi intasati della mia corporeità, divincolandomi dalle ragnatele dell’ego, fronteggiando il timore di aver paura. Dal ventre del cratere riaffiorerà il mio ardire come un torrente ematico smanioso del suo fluire, fino a quando, ormai senza passato nè futuro, non avrà abbandonato la sua stessa frenesia. Il mio lato più oscuro, quanto quello più cristallino, religiosamente plasmeranno insieme la mia materia. E non più protagonista ma azione ed accoglienza allo stato puro, finalmente compirò quei gesti senza vanificarli. E quei gesti, portati dal tepore dell’aria, germoglieranno altrove.”
IL FIUME E LA MELMA
“Sprofonderò con le mani in quest’acqua scura immutata e cangiante, spingerò così forte fino a farmi male per estrarre dal fondale melmoso unguenti lenitivi per le mie ferite. Ispezionando la mia più cupa opalescenza, con le dita ancora umide di limo ripercorrerò ogni piega dei miei foglietti embrionali inseguendo ogni fessura di luce, frugando in ogni rivolo di sudore, dissipando le aderenze dell’anima. E dopo che ogni ciottolo avrà modulato le sue frequenze, la memoria del fiume e il ricordo dell’avvenire desteranno il mio stupore. Amniotiche saranno le mie grida, estatiche le mie orazioni, e senza più dover scegliere sarò il fiume che sarò, scorrerò in altri greti, ospiterò una linfa insolita, irrigherò quei campi e tornerò in quei deserti che avevano affollato i miei sogni quando, distratto dalla realtà, non ero stato in grado di riconoscerli”.
IL DISSENSO DELLA TERRA
“Attonito e randagio prendo atto dell’improcrastinabile dissenso della terra che non dà più i suoi frutti dal giorno in cui tradii la sua fiducia. Ho smarrito la strada nel freddo, ma prima che la neve si posi offrirò al gelo il mio petto nudo. Allorchè avrò immolato la mia vanagloria alla sinfonia di questa vegetazione, la mia incisura giugulare accoglierà la spinta evolutiva del cuore intervallando le clavicole. Duetterò con qualche uccello forse, o con un rettile, e quell’intricato contrappunto sarà il segno del potere salutare della creazione. Artefice, senza più gloria nè ambizione, dimenticherò me stesso, clorofilla in delirio, polvere sottile scaldata da un ghiaccio inconsueto. La sete di un potere insano sarà concime per altri mondi e la natura tornerà a donare nutrendo i figli che avevano popolato quei sistemi solari la cui forza, evocata da siderale memoria, giunge a me soltanto adesso.”
IL RIVERBERO DELL’EDERA
“Mi coglierà di sorpresa il riverbero dell’edera quando lo sguardo ipnotico del geco avrà distolto gli elminti in fibrillazione dall’attesa del mio disfacimento. E la memoria, ancora umida di zolle dopo il temporale, volerà nei campi fertilizzandoli con quell’odore di ozono. Ogni mio sforzo offerto al tempo mi sarà riconsegnato da quel verde di fichi d’india ancora acerbi, come quando erano stati maturi i frutti al momento della mia ricomparsa. Poichè non v’è posto più potente di queste radici, di pietra e di messi ciclicamente amate, di nubi spesso inosservate, di sole e di salsedine testimoni d’inventiva. E sarò com’ero stato nell’attimo stesso in cui avrò saputo accogliere ogni sussurro selvaggio, animale, vegetale o minerale. E chiunque si fosse già fermato qui abbracciandone il senso, al pari di me tornerà ad essere, senza più destino, trasformando i propri geni con l’incanto negli occhi, senza più invertebrati, senza più dissolvimento, senza più attaccamento, senza più incombenze.”
SUOLO SACRO
“Ti bacerò a lungo dopo aver vinto competizioni a cui non avrò mai partecipato. Suolo sacro, come labbra di ninfe che mi accolsero naufrago ancor prima che nascessi, come petali depositari di inaspettate dimensioni del mondo. Terra che non è più mare ma non è ancora cielo. Nel glicine correrò nuovamente e quando ogni radiazione della sua lunghezza d’onda avrà impressionato la mia retina, sfinito origlierò la voluttà dei tuoi suggerimenti. Ma non mi accascerò, tutt’altro! Ripartirò con la coscienza che non c’è vittoria se non quella della passione che si libera nel distacco di un sorriso. E senza più desiderare sussisterò nell’azione con ogni mia cellula, emozione pura, potenza inconsueta, omissione di ogni sforzo superfluo. Pesce, uccello, rettile, anfibio, mammifero, in quel colore e in mille altri mi paleserò, celandomi ancora, offrendomi ancora!”
CIELO D’ALTURA
“Crederò in te cielo d’altura e starò in ascolto fino a quando ogni fenomeno sarà rientrato nella sua necessità, da un futuro in bilico, da paure remote. Un lenzuolo di pernici lambirà la mia carne cogliendomi docile, senza aspettative, immune da inutili ambasce. Da un derma corpuscolare riaffioreranno le mie ali e nuovamente amore sarò, struggente malinconia in perenne mutamento come quando, interpellando la tua perizia, ero stato cantore di cosmiche litanie, diacono senza più assemblee, cucciolo di falco senza firmamento. E dopo che i frammenti di queste rocce come gemme rivelatrici avranno risvegliato la potenza femminile che è in me, sarò un’altra volta natura, canto di fiume, belva mansueta. E accoglierò nel grembo il passato e il futuro con l’azzardo di un presente che vibra, per commuovermi ancora svezzato dall’estatica diffrazione che si cela fra queste vette. Crederò in te perchè felicità sarà dimenticarmi di esistere guidato da schemi corporei non più cristallizzati, ammaliato dal tuo chiarore deciso. Come decisi saranno il mio spirito e la mia mente allorquando, apostrofati dalle interminabili gradazioni d’indaco, ciuffi di ciglia in deflessione avranno assecondato con garbo il mio planare e mediazioni inesauribili di liquidi interstiziali mi avranno conferito il coraggio di abbandonarmi al tuo respiro.”
SPASMI FOTOTROPICI
“Spasmi di luce generano in me movenze fototropiche orientandomi nello spazio e apparentemente distante da un terreno irreversibilmente attraversato da indispensabili rizomi. Guidati da queste piante il mio cuore e i miei arti certamente sgusceranno via non appena la mia gioia fisica, divenuta arborea e multisensoriale, avrà creato nuovi varchi e tracciato sentieri imprevisti. Un grido sarà il vessillo delle sorprendenti sembianze a cui mi abbandonerò, accento tangibile dell’eccentrica tensione periferica che, inequivocabile maestra di libertà, guiderà il mio amore incondizionato verso modalità espressive più accoglienti. Concubine celesti e imperseguibili connivenze cosmiche plasmeranno le forme di chiunque avrà udito, rimodellandone la struttura e valorizzandone il compito. Arcangeli di espansione, testimoni e interpreti di ecosistemiche ritualità, portavoce di antiche armonie attecchite e protruse. Perchè ero stato corpo in cerca della propria costanza, destreggiandomi fra origini e inserzioni di ingranaggi articolari, frenesie mitocondriali e alacrità di citoplasmi. Perchè sarò stato anima in preda ad omeostatiche visioni, vestale deliziosa e instancabile pellegrino. Immemore dei mantelli posturali e degli inestricabili reticoli difensivi sentirò l’aria sulla pelle con passo sicuro, varcherò gli spartiacque del tempo in un continuo e giocoso altalenarsi fra spinte e carezze, indicando e allontanando, adeguandomi pur rimanendo integro. E in quella dinamica centratura, senza più vacillare, abbraccerò il mondo per non soccombere. E le mie costole, sorelle di una gravità ormai amica, saranno il mantice dei miei pensieri.”
MI DEFILERO’
“Mi defilerò, animale ferito o scaltro esemplare di una massa rocciosa sconosciuta. Puma colto di sorpresa incurante di telemetriche rilevazioni su lunghissime orbite, testimone insospettato del tempo che verrà. E non certo per codardia ma per discrezione, concedendo all’altrui saccenteria di pavoneggiarsi senza limiti in un futuro offuscato da un improbabile passato. Poichè queste foglie secche mi guideranno, e le mie stesse orme che qui lasciai ancor prima d’esser felino, conducendomi a quella necessaria separazione dalle cose precettrice del più autentico dei poteri. Chiavistello divelto, amante diviso, cortigiana senza più castello, nè maschio nè femmina ma anima nuova. Asseconderò la spiralità del cuore, ribonucleica rivelazione del nucleo centrale come unica tensione possibile in questo corpo d’amore. Stupidità negletta, per sempre distante rosolerai nella tua stessa brodaglia dopo che io, gattonando con solitaria fierezza, avrò goduto della benevolenza e dell’autorevole nutrimento di un habitat miracoloso. Finchè fortificato da una mutata socievolezza, inebriato di muschio e di resina, ripercorrerò il sentiero di questi tronchi secolari rafforzando la comprensione multisensoriale, coccolato da tenerissimi itinerari sinaptici. E la postura dell’estasi, ammantata di encefalica trasmutazione, non avrà come interlocutore uno scenario trasformato ma un mondo appena nato, isola galleggiante dove solo l’esempio potrà sollevare dal torpore ogni anima che avrà scelto di calpestare quelle impronte. Senza più sermoni per una sana sopravvivenza, senza più disfunzioni per un’euritmica coesistenza.”
(ph Barbara Luisi – particolare)
ROCCIA SARO’
“Roccia sarò’, come tufo calcareo di magma terrestre, di sapido sud infuocato da venti di terra, di costa turchese tersa e campestre. Inseguirò mellifluo le fughe sui muri, oscurando la mia stessa ombra nell’attesa tradita da braccia diversamente conserte. Estragone beffato dal tempo, resterò in ascolto ispirato da cicale impavide e talentuose. E dopo che quei muri, come membrane di rampe timpaniche saranno entrati in risonanza col canto degli insetti, apprenderò in che modo il coraggio dell’arte possa sovvertire un sistema anomalo, come amore che dissesta, come acqua che trascina. Poichè fu qui che in epoche lontane, come lobo temporale tempestato da impulsi elettrici, trasformai la sofferenza in melodia intonando, come cicala troppo spesso infamata dall’avidità di una formica insana, quell’inno di rinascita. E isola sempre verde resterò, per ogni formica, per ogni potere, per ogni organismo, per ogni equilibrio. Specchio impermeabile di quell’interazione sistemica dimenticata da un corpo incapace di ascoltarsi.”
(ph Barbara Luisi)